Chiesa San Martino

Chiesa San Martino

La chiesa San Martino a Fratta di Tarzo è citata per la prima volta, nel 1237, in un Actum Frate in clausura ante cortinam Sancti Martini de Frata, con il quale si donava un maso a Colmaor. Zambono da Salsa figlio di Pietro da Tarzo lascia come beneficio una porzione di terreno in località Costinus a garanzia del sostentamento della chiesa e questo atto risale al 1302.

Sottoposto allo Ius Patronatus del Capitolo di Ceneda nel 1477, il beneficio venne unito “per tenuità delle rendite” al Beneficio di San Pietro di Tarzo del 1591. Ricostruita nel XV secolo e dotata di cimitero (1519), riceve da Marco Della Bella da Fratta 2 lire e 6 calvee di frumento “per far celebrare in perpetuo una Messa annua e distribuire in quell’occasione pane ai fedeli” (1562).

Il vescovo di Ceneda Sebastiano Pisani incaricò due periti pro esigenda pecunia relicta di ogni famiglia, per impiegarle “nelle spese di servizio e di restauro della chiesa” (1652).

Pur presentando un perimetro piuttosto modesto, l’abside gotica unica porzione sopravvissuta dell’edificio quattrocentesco ha invece uno sviluppo verticale alquanto inconsueto, in cui la decorazione ad affresco si dispone su due fasce con una Teoria degli Apostoli superiore e un altissimo Velario inferiore, esuberante decorazione resa a calde tonalità gialle.

Nel corso del XVIII secolo l’aula venne ricostruita e l’abside trasformata, “in modo da creare una continuità stilistica con la nuova fabbrica”.

In tale occasione venne aperta una finestra sulla parete destra e costruita un’alta cornice modanata di trabeazione, che si sovrappose alla parte terminale degli affreschi (posti sulle pareti laterali), distruggendo i volti della maggior parte dei Santi.

Il campanile venne costruito nel 1791 “per ponere le campane, le quali ora s’attrovano sopra il coperto della chiesa e vengono suonate entro la chiesa stessa con somma indecenza, con notabile distrazione dei fedeli che si raccolgono ne’ giorni festivi ad ascoltare la Santa Messa e con vero danno del coperto e de’ muri, che a motivo dell’attuale infelice positura di dette campane vengono pregiudicati”.

Chiusa per precarietà nel 1972, subì un intervento di consolidamento e di restauro degli affreschi da parte di Alma Ortolan nel 1995.

Gli affreschi San Martino, San Lorenzo e Cristo benedicente fra gli Apostoli sono stati attribuiti prima a Giovanni Antonio da Meschio, poi a Desiderio da Feltre e infine a Matio Baroviera, l’autore degli affreschi nella chiesa di San Daniele di Susegana nel 1480 che opera una “riduzione dialettale dello stile di Johannis di Francia”, una “rielaborazione tipologica non accademica”, in quanto si limita a “desunzioni” di alcuni aspetti formali e stilistici, “senza comunque arrivare ad applicarne un repertorio tipologico direttamente tratto”.

Il Cristo benedicente è affiancato dagli Apostoli, intervallati ciascuno da colonne e arcatelle, “componendo così l’immagine del Credo Apostolico”. La sequenza delle loro vesti “dai colori accesi e dai panneggi morbidi” va ad incorniciare la gestualità delle mani e i tomi del Vangelo tenuti stretti contro il petto.

L’ordinamento iconografico prevede sulla parete frontale la teoria degli Apostoli, tre per parte rispetto al Cristo benedicente, che compare al centro. Gli altri sei sono affrescati sulla parete di sinistra, mutilati delle teste nel corso del Settecento quando, già coperti dal bianco di calce, si provvide a inserire un cornicione di trabeazione.

Le figure sono dipinte in piedi entro delle porte ad arco (arcatelle), ad evocare le dodici porte della Città Celeste, cui era orientata l’attività apostolica. San Pietro a sinistra del Redentore, calvo con la barba a collare e le chiavi; a destra Sant’Andrea dall’aspetto di un vegliardo con barba e capelli lunghi e in più l’attributo della croce che s’intravede appena nella destra. Purtroppo per gli altri Apostoli mancano sia i tratti fisionomici sia gli attributi specifici, fatta eccezione dell’attributo comune del Vangelo tenuto in una mano, mentre l’altra è per lo più levata in segno di saluto. L’affresco della parete destra è andato irrimediabilmente perduto quando si pensò di allargare la finestra. Dai frammenti che restano si può riconoscere a sinistra il diacono San Lorenzo, identificabile dalla dalmatica che indossa e dalla graticola del martirio; al centro forse il cavallo del titolare San Martino, tenuto alla briglia a destra dallo stesso santo in abiti principeschi. Caratteristici dei suoi personaggi sono gli occhi tondeggianti troppo ravvicinati alla radice del naso), le grandi pupille e lo sguardo fisso. La fronte è sempre corrucciata con una siglatura. Alterna sottili ma decisi tratti scuri (come nel delineare le arcate sopraciliari e gli occhi a una stesura degli incarnati più morbida, in cui traspare volutamente a dare struttura il disegno sottostante; e inoltre un tratteggio minuto e parallelo per rendere invece il volume specie attorno agli occhi.

Nel Cristo e negli Apostoli di Fratta si fa più evidente il caratteristico modo di tagliare i piani dei volti, definiti da una linea di contorno che cerca una sua continuità e a cui si sommano i volumi di barbe e capelli descritti nella maniera così caratteristica in quanto attorcigliati per l’appunto come fil di ferro. Il modulo disegnativo di questo frescante, che segue andamenti curvilinei ora più sviluppati ora interrotti come sgorbiature a mezzaluna, si esprime maggiormente nella resa dei panneggi secondo una stessa interpretazione individuale.

Il paliotto cinquecentesco ad affresco di Antonio Zago unico nel suo genere in Diocesi di Vittorio Veneto è stato restaurato grazie al determinante contributo di una banca locale. In una porzione di intonaco, steso come finitura superficiale della mensa d’altare, raffigura delle eleganti e originalissime Infiorescenze rinvenute nel 1991.

In questa decorazione floreale ricorrono gli stessi “elementi vegetali” realizzati dall’autore nella pieve di Sant’Andrea di Bigonzo a Serravalle sulla volta della cappella dei Battuti (1500/1505), ove i Padri della Chiesa sono disposti su un fondale a “tappeto erboso rigogliosamente fiorito”, composto di piante fiorite “descritte come un erbario medievale”.

L’altare ligneo seicentesco dei Ghirlanduzzi è opera di grande impatto decorativo per l’uso di colori accesi e per l’abbondanza dell’oro a sottolineare capitelli, trabeazioni, tralci rampicanti e spessi motivi vegetali.

Questo testo è stato scritto da Giuliano Ros e potete contattarlo su questo link

Dove trovarla

La Chiesa di San Martino si trova in Località Fratta di Tarzo