Il Panevin

In questo articolo vi raccontiamo come è nata la tradizione del Panevin

Vi è un giorno dell’anno, tradizionalmente la notte del 5 gennaio, nel quale vengono accesi molti Panevin ovvero falò, per augurarsi buoni auspici per l’anno nuovo e per chiedere abbondanza  di raccolti, pace, prosperità e sufficienza alimentare. È un momento magico dove poter  trascorrere anche un momento di festa. Se si percorrono le strade delle province di Treviso e Venezia ma anche Belluno e Pordenone ci si può imbattere in questi falò che bruciano disseminati nei campi brulli di campagna, nelle periferie o dove uno slargo permette questa usanza che ha origini in tempi antichi.

La sera del 5 gennaio viene definita comunemente a livello locale la notte del Panevin.

Questa pratica tipicamente rurale ha coinvolto e coinvolge Associazioni, Pro Loco ed Amministrazioni Comunali.

La Storia

Storicamente, questo evento veniva associato ad elementi magici o superstiziosi dove l’offerta di sacrifici alle divinità mirava ad ottenere cibo in abbondanza durante l’anno e benessere in generale.

In epoca pre-cristiana, l’accensione del fuoco poteva essere legata al culto del sole oppure alle invocazioni rivolte agli idoli. In questi casi sul fuoco venivano poste  anche delle offerte per le divinità e gli anziani, come degli aruspici, pronosticavano il prossimo futuro guardando la direzione del fumo e delle fiamme.

In epoca cristiana, le invocazioni con o senza parroco sono diventate suppliche al Signore Dio attraverso canti religiosi e la contemporanea venuta dei Re Magi per festeggiare l’Epifania è servita per rafforzare il legame tra la comunità che partecipa al rito.

Nel secolo scorso era usanza che il Panevin venisse organizzato in famiglia insieme a parenti, amici e vicini di casa. Secondo alcuni studiosi questa tradizione in antichità era un vero e proprio rito di matrice pagana che con il tempo venne adattata al culto cristiano e successivamente assunse una dimensione famigliare ed infine associativa.

Il Panevin spesso veniva organizzato al centro del podere, o al centro di un incrocio di vie o in altri luoghi particolarmente simbolici per la comunità.

A partire dagli anni Sessanta del Novecento grazie alla formazione di Associazioni e alla presenza di centri di aggregazione, anche le feste tradizionali e popolari, come la festa del Panevin, hanno raggiunto livelli di partecipazione elevati con conseguente valorizzazione della tradizione.

In alcune località del Veneto alcuni falò venivano anche accesi il 6 o ancora il 7 gennaio. Secondo tradizione, il 5 il Panevin serviva ad illuminare la via ai Re Magi, il 6 per far luce a Gesù Bambino ed il 7 per far trovare la strada del ritorno ai Re Magi. Il vero motivo era quello di offrire ai più poveri o alle famiglie numerose il modo di mangiare qualcosa nelle diverse serate “andando a chiamare panevin”.

Il Panevin era comunque un momento conviviale dove oltre a chiedere buoni auspici, ci si poteva aggiornare sulle ultime novità del paese o sullo stato di salute di amici e parenti.

Tradizionalmente le donne non partecipavano alla preparazione del falò ma organizzavano il cibo e le eventuali bevande. La più rappresentativa delle pietanze era la “pinza” il dolce tipico di questa festa e chi poteva preparava anche il vin brûlé per gli adulti, mentre i più piccoli potevano trovare il tè caldo.

La legna usata per il Panevin nelle province di Treviso e Venezia è composta generalmente da sterpaglie, ramaglie, residui di potature, foglie ed altri residui legnosi, mentre, in provincia di Pordenone venivano utilizzati i mannelli delle canne di mais.

La costruzione del Panevin, ovvero della pira che dovrà essere bruciata, non è operazione da prendere alla leggera pena l’insuccesso di una o più fasi che coinvolgono il falò. Normalmente, al centro dello spazio previsto, viene piantato nel terreno un palo robusto di acacia o di altro legno solido che oltre ad offrire sostegno meccanico a tutto il materiale che verrà via via accumulato, deve essere alto a sufficienza per accogliere la “vecia”. L’obiettivo è quello di impilare il materiale formando un cono o campana che nonostante l’altezza e il peso, lasci aria tra i residui legnosi per favorire la propagazione delle fiamme.

I lavori per la preparazione del Panevin iniziano alcuni giorni prima del 5 gennaio, ma chi cura l’allestimento deve fare i conti anche con le bizze del tempo e con la qualità del materiale da bruciare che dovrebbe essere conservato all’asciutto fino al momento di formare la pira.

Nel recente passato, la sera prima dell’Epifania  la popolazione cattolica si recava in chiesa e dopo la Santa Messa ritirava l’acqua benedetta che portava spesso con se al Panevin.

Prima dell’accensione del falò i riti propiziatori erano e sono tutt’oggi molto doversi tra loro. Ad esempio: compiere tre giri di corsa intorno alla catasta di legna,  oppure far appiccare il primo fuoco ad un bambino con l’aiuto di un adulto o invocare figure terze perché portino il proprio aiuto o un contributo, ecc.

Dalla direzione del fumo e delle faville si traevano e ancora si traggono gli auspici per il nuovo anno agricolo: se fumo e faville vanno ad occidente si prepara una buona annata se vanno a oriente si prospetta un periodo di magra.

Tradizione vuole che l’anno trascorso sia rappresentato da un fantoccio collocato sulla cima del Panevin. Normalmente costituita da paglia, la figura assomiglia ad una vecchia con vestiti logori, il naso adunco, i capelli coperti da un fazzoletto e un ventre copioso. Nelle province di Treviso e Venezia il nome varia in base alle località per cui si può sentire gridare alla: strega, alla vecia, alla marantega, alla befana, ecc.

In alcuni Comuni l’accensione del Panevin viene preceduta  dal processo alla Vecia.  È un modo per ricordare quanto di nefasto è successo durante l’anno trascorso. L’atto serviva e serve anche come speranza di liberazione delle cause che affliggono le persone. La formula del processo prevede che l’accusa pronunci la requisitoria, l’avvocato difensore si opponga con un’arringa ma alla fine la vecia, ovvero le colpe vanno espiate sul rogo.

Anticamente, la vigilia dell’Epifania rappresentava il solstizio d’inverno, momento dell’anno nel quale si festeggiava il nuovo sole simboleggiato dal fuoco.

Nella provincia di Venezia e quella di Treviso era usanza allineare diversi prodotti a cui si dava fuoco per trarne i pronostici, mentre, nella zona bellunese gli auspici venivano interpretati in base alla quantità di braci che si creavano durante il rogo e in alcune famiglie del luogo, la mattina seguente al Panevin venivano analizzati i carboni: se erano neri non c’era niente di buono nel futuro ed i presagi erano negativi, se i carboni erano ricoperti di cenere di colore bianco-grigiastro il futuro si prevedeva buono con annata abbondante e positiva.

Nel Veneto Occidentale le ceneri del Panevin venivano conservate perché portavano fortuna. Venivano anche usate come fertilizzante nei campi e le donne le usavano come detersivo per il bucato.

Diffusa fino a qualche decennio fa, l’usanza di sparare colpi di fucile al fantoccio o alla vecia o, verso i quattro punti cardinali formando così una croce. Era una pratica tipica delle  famiglie composte da cacciatori che è caduta in disuso anche per la sua pericolosità.

Per coloro che volessero approfondire la tematica del Panevin segnaliamo la pubblicazione: Il Panevin La notte dei fuochi nel Trevigiano e nel Veneziano, Antonella Pomponio, Cierre Edizioni Verona-Canova Treviso, 2002.